Quando una finanza speculativa ed anarchica sopprime i diritti dei singoli cittadini

In questi anni abbiamo assistito alla speculazione finanziaria, come se fosse un gioco lontano da noi.

 

Il nostro paese ha vissuto e vive su un concetto macro economico diverso da quello mondiale, dove al centro dell’economia erano posti la produttività e lo scambio di beni e servizi.

 

Il paese ha vissuto , bene , per anni fondando l’ossatura economica , non sulla grande impresa , ma sulle piccole e medie imprese, l’artigianato e le libere professioni.

 

Queste strutture economiche radicate nel paese ed asse fondante dello stesso , ci hanno consentito di produrre ricchezza , di dare posti di lavoro, di far girare, come si dice, denaro. Questo sistema economico, al contrario di quanto propagandato, era liberale e concorrenziale. La concorrenza era fondata sulla qualità, sull’ingegno, sull’iniziativa privata, ed era regolato dalle norme del codice civile. Questo sistema ha consentito al Paese di essere riconosciuto all’estero per la capacità creativa ed ha sviluppato il made in Italy. Come non ricordare Enzo Ferrari, Giugiaro, gli stilisti, gli artigiani, e tanti altri che hanno reso l’Italia un paese di eccellenze?  Ma non solo. Questo sistema ha consentito al paese  di essere il Paese con maggior risparmio pro capite al mondo, dove la casa di proprietà era l’obiettivo primario di ogni cittadino. Conseguentemente, equivaleva a risparmio trasformato in mattone.

 

Con l’avvento della Globalizzazione, che per noi Italiani era internet, ma per il resto del mondo significava porre le basi per una finanza che si staccava dall’economia produttiva e dalle regole del diritto, i parametri macro economici sono cambiati.

 

Si sono, via via, poste le basi per quella che oggi si può definire la più grande crisi che il pianeta abbia mai conosciuto, crisi che stranamente non colpisce i ricchi del pianeta o le loro multinazionali, non colpisce i grossi sistemi finanziari. Questa guerra finanziaria, sta colpendo i popoli e le persone, creando una nuova era in cui la differenza tra ricchi e poveri è maggiore e più estesa nei paesi dove la finanza speculativa era meno forte e consolidata.

 

In realtà questa crisi sta portando lentamente quei popoli, tra cui il nostro, alla sottomissione economica ed alla perdita della libertà individuale e della Sovranità territoriale.

 

Ma per spiegare ciò basta ricordare le parole di un economista Giapponese che nel 1990 dichiarava: la differenza tra noi e gli occidentali – il riferimento era all’America –  sta nel fatto che le nostre borse trattano economia e produzione contro carta (intesa come speculazione finanziaria) mentre le loro semplicemente carta contro carta.

 

Se ci fossimo soffermati solo un attimo su queste considerazioni, avremmo capito in che senso stava girando il mondo finanziario ed economico e quanto lo stesso si stesse allontanando dalle regole del diritto e dell’economia etica e dalla realtà, per entrare nel liberismo anarchico, senza regole ed incontrollabile.

 

Ma coloro i quali dovevano evitarci tutto questo, ovvero  i nostri economisti ed i nostri politici, invece di allontanare il Paese dal rischio prospettato, hanno seguito l’onda, e come Ulisse con le sirene, ci hanno condotto per mano dove ci troviamo oggi.

 

Ci siamo comportati come Pinocchio con il gatto e la volpe, convinti che l’albero ci avrebbe reso ricchi fruttificando monete,  non capendo, invece- per impreparazione e dabbenaggine- che se pianti le monete sottoterra nessun albero nascerà e che ti stanno solamente truffando.

 

Ricorderete tutti la bolla speculativa della borsa avente ad oggetto società legate ad internet alla fine anni 90: Televisioni e giornali, pompavano (conniventi) lauti e facili guadagni con la borsa. Si lanciavano notizie di guadagni con percentuali astronomiche, bastava  comprare titoli di società i cui contenuti economici e di produttività erano pari a zero. Giustamente definito il “gioco di borsa”. Carta contro carta, scatole improduttive pompate ad arte per generare profitti. Ma a favore di chi?

 

Quindi quella, definita poi bolla speculativa, scoppiò, lasciando i cittadini con le dita bruciate ed i grandi fondi più ricchi di quando avevano cominciato.

 

Il motivo è semplice: chi gestisce la finanza e le speculazioni fa crescere o diminuire i valori ad arte. Se il titolo cresce la gente compra non guardando al sottostante, ma semplicemente alla percentuale di utile. Quando la gente è stata resa ubriaca, dal miraggio dei facili guadagni, e quindi non vede più il limite, ecco che il fondo che gestisce l’operazione comincia a vendere, realizzando il suo profitto. Ma a fronte del profitto di un gruppo sparuto di soggetti ce ne sono tanti che hanno perso in attesa di un impossibile rialzo.

 

Questo profitto è determinato dal risparmio dei cittadini che ci hanno creduto e che sono diventati investitori. Un po’ come giocare al casinò, dove vince sempre il banco.

 

A quella bolla speculativa scoppiata fece seguito il fallimento dell’Argentina, dove in una notte i fondi finanziari, fecero come si dice “cassa”, nonostante avessero  già coperto il rischio con la vendita dei bond  sempre agli ignari cittadini del mondo, abbindolati da abili promotori finanziari e da una pressante pubblicità, che invece, ci rimisero non solo gli utili ma anche parte dei loro risparmi di una vita.

 

A seguire ci fu la bolla immobiliare, creata sul credito non adeguatamente garantito, che generò sempre a favore degli stessi titolari delle ricchezze mondiali, un ulteriore utile.

 

Infatti, furono venduti  crediti inesigibili di banche e finanziarie mediante strumenti finanziari denominati “derivati”, e poi definiti “titoli spazzatura”, portando  dal 2008 ad oggi a vedere la finanza prevalere sulla economia, uccidendo questa definitivamente.

 

Ma un mondo globalizzato, per essere tale, deve fare di più: deve delocalizzare. La delocalizzazione è la  ricerca da parte delle grandi imprese, di mercati economicamente più vantaggiosi ove produrre beni; scopo avere maggiori utili.

 

Le imprese o grandi industrie italiane, in cerca di profitti ed utili, hanno iniziato a delocalizzare la loro produzione all’estero, scegliendo quei  paesi dove il costo della manodopera è più basso.

 

La carenza di regole di diritto ha fatto si, che, a danno dell’economia interna dei paesi  (l’Italia ne è  un esempio), le imprese scegliessero per la produzione i paesi orientali dove non ci sono controlli sanitari, dove per un piatto di riso i bambini lavorano in fabbrica per oltre dieci ore, dove non esistono le stringenti e costose norme sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, dove i sindacati non esistono e se esistono sono statali, quindi in difesa dello stato e non dell’operaio, dove gli operai non hanno diritti, in quanto l’unico premio è quello di poter mangiare a fine giornata.

 

In poche parole, dove le regole di diritto ed i diritti umani sono un optional per la ricchezza.

 

Ma questa delocalizzazione che è servita ad arricchire non solo le aziende ed industrie che hanno delocalizzato, ma soprattutto  quegli stati ed i soliti fondi  finanziari ed i ricchi della terra, (ma non i loro cittadini),  non solo non ha prodotto un abbassamento dei prezzi dei beni lì prodotti, ma ha impoverito l’economia dei paesi che hanno subito la delocalizzazione.

 

Il risultato, un paio di Tod’s o un maglione Benetton, per fare un esempio, in Italia, costano quanto costerebbero se fossero prodotti da noi, mentre da anni vengono prodotti in Cina ed in Tunisia, con costi, come detto, nettamente inferiori a quelli che sarebbero stati in Italia, ma con margini di utile enormi per le aziende, visto il risparmio. Ciò, tuttavia, comporta simmetricamente l’impoverimento dell’area geografica ove ha sede l’azienda con ripercussioni sulla Nazione. Questo impoverimento consegue alla chiusura degli artigiani che lavoravano nell’indotto, al licenziamento o alla mancata assunzione di lavoratori, soprattutto giovani; con un incremento, quindi, della disoccupazione.

 

L’Europa in tutto questo?

 

Si è adeguata, ha imposto ai paesi aderenti le regole dettate dalla finanza. Non per niente Paesi come Germania e Francia erano quelli più esposti alle speculazioni finanziarie, pur avendo di fatto e nel tempo mantenuto una produzione industriale interna, ma con un debito pro capite alto.

 

Noi, le formiche dell’Europa, ma con scarsa produttività internazionale, siamo stati svenduti, sull’idea falsa, di creare ricchezza per i cittadini, senza renderci conto del fatto che la globalizzazione ci avrebbe spazzato via, dopo aver preso i nostri risparmi.

 

Si parla di liberalizzazioni, ma si nasconde dietro un termine liberale, la peggiore anarchia.

 

Quale mondo si può avere dove l’unica legge e quella del più forte? Quale economia può nascere dove la finanza non guarda ai contenuti ma alle ricchezze di pochi?

 

Il diritto sovranazionale non prevede norme a tutela delle fasce più deboli, non prevede norme che regolano le liberalizzazioni.

 

Noi, da latini, siamo abituati ad avere norme regolatrici, che pongono paletti a difesa dei cittadini e degli interessi economici.

 

Solo tornando alle nostre norme di diritto interno e lasciando quelle sovranazionali come mero consiglio o indicazione, potremo tornare ad una economia reale e non finanziaria.

 

Tornando ad una identità nazionale salveremo il paese e ritroveremo quella ricchezza che tanto fa gola a finanzieri senz’anima.

 

Quando il profitto tornerà a servizio dei cittadini ed il diritto Giustinianeo e Napoleonico torneranno ad avere valore, anche le liberalizzazioni saranno attuabili perché regolamentate non sul margine utile ma sulla qualità e sull’ eccellenza e soprattutto sulla base delle reali necessità interne al nostro Paese.

 

Proprio dal ritorno alle leggi scritte, all’uso della giustizia ed all’interpretazione dei codici può risorgere l’economia. Abbandonando una volta per tutte la finanza fine a se stessa ed anarchica.

 

Immaginate se ci fossero state leggi liberali che avessero posto dei controlli alla concessione di mutui in America:non avremmo avuto prima la speculazione immobiliare e  poi il disastro dei derivati, con la conseguenza di questa nuova crisi.

 

Ma il mondo anglosassone ha da sempre, anteposto l’utile all’uomo, e per ragioni di margine utile ha abbandonato il diritto ad esercizio di pochi, lasciando libera non la concorrenza, ma sottoponendo la stessa alla legge del più forte. Una libera concorrenza deve essere, per dirsi libera , sorretta da norme rigide, che aiutino il più debole e limitino lo strapotere del più forte finanziariamente.

 

Perciò per  evitare lo strangolamento sociale e l’impoverimento di massa, bisogna tornare alle leggi interne, quali veramente regolatrici delle materie, leggi che impongano anche alla finanza, agli speculatori ed alle multinazionali, regole fisse e rigide a tutela delle persone e dei loro risparmi. Ciò consentirebbe in primo luogo il ritorno all’economia reale, alla produttività nazionale e conseguentemente all’occupazione.

 

Oggi un’uscita dell’Italia dalla morsa dell’Europa, il ritorno all’applicazione del diritto interno come unica e primaria fonte, insieme alla possibilità per i cittadini di tutela giuridica, e non come oggi con la forte  limitazione economica dell’accesso alla giustizia, unita ad una maggior certezza normativa e nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, potrebbero garantire una rapida ripresa del sistema. Ciò farebbe riemergere quelle eccellenze economiche che il paese ha saputo creare negli anni e che oggi, formate in Italia con i costi di formazione, regalano agli altri Paesi ricchezza di idee e produttività, a scapito del patrimonio interno. Maggiori investimenti sulla ricerca, non da svendere all’estero ma da sfruttare all’interno dell’ Italia, consentirebbero di ritornare ad essere il paese del made in Italy.

 

L’euro come moneta sovranazionale, l’Unione Europea come aggregato politico e la globalizzazione hanno agevolato l’espandersi della finanza anarchica, soggiacendo ai suoi voleri e facendo si che le uniche regole non scritte fossero quelle imposte dai mercati finanziari  , rendendoci di fatto schiavi di quei poteri  che come detto analiticamente sopra, non voglio uomini e cittadini liberi, ma schiavi del bisogno.

 

Si sono invertiti i ruoli di offerta e domanda, dove, oggi, è l’offerta a determinare la domanda, attraverso una pubblicità pressante che con la connivenza dei media, rendono necessario ciò che non lo è.

 

Le teorie economiche insegnano che non può esistere mercato senza leggi, nè può esistere un mercato senza il rispetto dell’uomo.

 

Non facciamoci svendere il presente, non facciamoci uccidere il futuro, salviamo la Nazione ed i suoi cittadini da una guerra finanziaria che non ci appartiene e non ci riguarda. Torniamo ad essere il Paese del diritto e delle regole. Torniamo ad essere ITALIA

Antonio Caliò

Potrei dirvi che sono delegato OUA da quasi quattro anni, che ho fatto parte della Commissione Giovani creata dal mio Amico Antonio Conte, della camera di conciliazione della Corte d’Appello di Roma, che sono stato il coordinatore della commissione sulla mediazione dell’OUA, che faccio politica forense da oltre 15 anni.
Invece sono:
Antonio Caliò, nato a Messina il 1° marzo 1965, emigrato a Roma nel 1988 appena laureatomi in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi della mia Città natale.
Semplicemente un AVVOCATO.